Borgo Musolesi, gente venuta dal Mugello, appennino Tosco Emiliano tra Bologna e Firenze

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Musolesi nel Comune di Qualto

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Qualto
 


Fino ai primi anni dell'800 Musolesi, pur appartenendo alla Parrocchia di San Benedetto Valle di Sambro, faceva parte del Comune di Qualto. San Benedetto infatti, contrariamente a quanto succedeva per quasi tutte le parrocchie del nostro Appennino, non era costituito in Comune: il suo territorio era suddiviso fra i comuni di Qualto e di Poggio de' Rossi. Il confine era segnato quasi interamente dalla strada che da Musolesi saliva su fin alla Collina e a Cedrecchia. Addirittura il borgo di San Benedetto (molto modesto per il vero) era diviso a metà: la chiesa e le case a nord della strada appartenevano al Comune di Poggio de' Rossi, le case a sud al Comune di Qualto. Amche le frazioni viciniori facevano comune. Così Sant'Andrea, Montefredente, Cedrecchia, Monteacuto e addirittura Campiano, il cui borgo con la stessa chiesa furono ingoiati nel 1772 da una spaventosa frana di cui si aveva memoria orale ancora dopo l'ultima guerra.
Va comunque detto che non si trattava di unità amministrative complesse quali quelle di oggi. Avevano compiti molto più modesti. L'anagrafe e lo stato civile erano di fatto affidati al parroco che registrava nascite, morti e celebrava matrimoni validi a tutti gli effetti. Non v'era leva militare obbligatoria, né assistenza sanitaria pubblica, scuola dell'obbligo o raccolta dei rifiuti.... Un consiglio dei capi di famiglia discuteva le questioni più importanti e ne raccomandava la soluzione al vicario della circoscrizione in cui il territorio comunale era compreso. Il quale vicario era un funzionario del Comune di Bologna e poi dello Stato Pontificio. A capo del consiglio e del Comune stava il massaro, che tra l'altro rispondeva in proprio a Bologna dell'ammontare delle tasse segnate negli estimi. Uno scrivano assisteva il massaro - quasi sempre analfabeta come la maggioranza della popolazione, fossero proprietari o contadini.
Prima che venissero impiantati i catasti, strumenti precisi per individuare fabbricati e terreni e loro proprietari, i governi ricorrevano a sistemi più rozzi che consentivano comunque di venire in possesso di elementi utili a tassare la piccola e media proprietà. E si avevano gli estimi, registri comprendenti l'elencazione di tutti i possidenti del comune soggetti a tasse (detti fumanti) o esenti per qualsivoglia motivo (in genere nobili e clero).
Più particolarmente l'estimo consisteva in una sommaria descrizione delle abitazioni e degli annessi (corte, aia, capanna, forno...), dei campi con gli alberi d'alto fusto e la specie, dei confini con le altre proprietà e, ben chiaro, l'asse patrimoniale e la denominazione del fabbricato e del terreno inquisito, perchè ciascuno, pur modesto per estensione o valore, doveva riconoscersi dai rimanenti vicini non essendovi altra maniera per distinguerlo - mancavano le mappe catastali con la loro precisa suddivisione in particelle numerate corrispondenti a ciascuna unità da individuare. E dunque si avevano i nomi tramandati per generazioni di ciascun campo, pascolo, macchia o bosco, che ancora fanno trepidare coloro che amano la propria terra. Per Musolesi trascrivo i seguenti - me li disse, non ricordo in quale occasione, l'amico Sergio Lenzi in dialetto, che era il modo autentico per identificarli (il catasto li tradusse poi in lingua italiana, spesso storpiando lessico e significato): al Tòl, méz Valige, La Sponga...Francesco Musolesi li sapeva tutti. ma non è più fra noi per ripeterceli. Volendolo, tuttavia, sono recuperabili al Catasto.
Gli Estimi del Comune di Bologna dei secoli XIII e XIV, conservati all'Archivio di Stato, potrebbero forse dirci qualcosa di più preciso sull'arrivo del Mugellesi nella valle del Sambro - e ci auguriamo che qualche volenteroso studente li interroghi per noi. La valle era certo poco abitata se un così cospicuo numero di persone potè insediarvisi e lavorare la terra. Il territorio era forse allora dominio dei Conti di Panico, feudatari della media valle del Reno, ma che avevano la proprietà addirittura a Castel dell'Alpi. Il Castelluccio - il nome lo indica come luogo fortificato a controllare la confluenza del Rio Maggio col  Sambro, le cui rive in secco erano utilizzate da montanari per scendere al piano - il Castelluccio era stato certo un loro possesso. Lo confermerebbe un toponimo noto ormai a pochi: la fontana di fronte al Castelluccio detta della Barleda (ora catturata e immessa nell'acquedotto provinciale) era conosciuta come la funténa di Cont / la fontana dei Conti, al plurale: per antonomasia i Conti di Panico appunto, famigerati per il loro numero e la loro prepotenza in tutta la montagna. A quella fontana le donne di Musolesi andavano a lavare i panni anche d'inverno: la sua acqua, sgorgando da una falda profonda, addirittura fumava perchè tiepida rispetto all'ambiente di neve e gelo.


 
 
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